A costo di sbagliare

Il problema di fondo è che non siamo abituati ad un Pd che prende una decisione e la porta avanti.

Quello di prima era un Pd formato ‘boh’. Lo si faceva per non scontentare nessuno, con la conseguenza di scontentare un po’ tutti. Ovvero, gli iscritti, nell’immobilità totale, si sentivano sempre e comunque a casa, gli elettori invece non avevano più motivo di fidarsi di noi.

Il prendere decisioni, invece, scontenta sempre qualcuno (e chi amministra un Comune lo sa). Soprattutto se quel qualcuno pensa di sapere sempre qualcosa in più degli altri. Da’ fastidio essere (o sentirsi) nel giusto e non poterlo dimostrare. Ecco, vorrei un Pd che dia fastidio a molti. Badate, per le scelte sbagliate che si faranno e non più per le non-scelte.

Poi se va male si cambia, come sempre fatto in Democrazia.


Il solito errore (voluto?) di comunicazione

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Davvero non trovo molta differenza tra le primarie “chiuse”, di  soli aderenti, previste da Franceschini che in un intervista a Repubblica del 28 luglio dice questo

«Figuriamoci, è impossibile pensare alla platea degli attuali tesserati. In gran parte del Paese non ci sono neanche più. Penso piuttosto a un sistema totalmente aperto per cui un cittadino si presenta ai gazebo, ai circoli e anche un minuto prima di votare, aderisce al partito. Un modo per aprire il Pd a nuove energie, non per rinchiudersi»

piuttosto che le #primarieaperte volute a gran voce da Civati, Cuperlo e renziani di ogni ora (prima, primissima e ultima).

Un’unica grande differenza. La volontà di quello che si comunica. Partendo dal presupposto che nel Mondo nevrotico e complesso d’oggi le persone (oltre ai folli come me, e pochi altri) non perdono troppo tempo ad interessarsi delle beghe interne di un Partito fin troppo democratico (almeno nelle sue regole, che sono belle e già scritte ma si tende a volerle cambiare) e confusionario, dobbiamo capire che è l’immagine che diamo all’esterno di noi stessi è quella che conta. E che i concetti che esprimiamo devono essere semplici e lineari, se vogliamo essere capiti, oltre che ricordati (non sarebbe male, soprattutto quando si va a votare).

Dunque, l’unica differenza, dicevo, sta nel meccanismo psicologico che si vuole innestare nelle persone che ci ascoltano di sfuggita. Solo aderenti e iscritti, anche se all’ultimo minuto? Bene. Nessuno ascolterà quel “anche se dell’ultimo minuto” e il giorno che ci sarà il congresso (chissà quando?) il pensiero comune sarà “beh, io non sono iscritto. Questi fanno i giochini tra di loro. Facciamo che oggi me ne sto a casa e vedo in tivù cosa combinano quei comunisti nostalgici”. Nessuno capirà che ci si può iscrivere anche il giorno stesso, perché lo si è comunicato male. Perché si parte dal presupposto che tutti, quotidianamente, stiano a leggere e ascoltare tutte le interviste di tutti gli esponenti del Partito Democratico. Una follia.

Dall’altra parte ci sono le #primarieaperte. Che nessuno ha mai definito “anonime”. Cioè, tu ti presenti al seggio e ti registri. Aderisci. Paghi l’obolo. Come sopra. Semplicemente cambia il modo di comunicare il tutto. Si da l’idea che tutti possano partecipare, cioè tutti quelli che sono interessati a farlo. E quell’indeciso dell’ultimo minuto, sommerso dal lavoro, dalla famiglia, dagli obblighi, dai mutui, che non ha il tempo materiale (o forse le capacità cognitive) di sobbarcarsi anche l’interessamento alle diatribe piddine, che magari voleva fare la tessera ma non ha avuto il tempo, quel giorno si ricorderà dell’unico messaggio semplice comunicato dal PD: “LE PRIMARIE SONO APERTE”. Punto.

La partecipazione sarà sicuramente più ampia, perché si comunica un senso di possibilità, di apertura, di leggerezza, di semplicità. Anche se i contenuti sono gli stessi, e le modalità di adesione anche. Quella che cambia è la tipologia di immagine che si vuole offrire di se. Vogliamo continuare a fare i “complicati” (potrei dire “complessati”, ma qualcuno magari s’offende)? Non lamentiamoci se poi siamo al 20%. O forse è questo l’unico obiettivo. Si vuole giustificare la partitocrazia, a discapito di una democrazia moderna. Continuando a giustificare il Porcellum, e magari le liste bloccate, che tanto piacciono ai funzionari romani e ai vecchi turchi.

Allora è giusto continuare la nostra battaglia comunicativa, che è sempre, in fondo, anche una battaglia di ideali e di come comunicarli, a pensarci bene.


Un Partito modello Blockbuster

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Possiamo ragionare quanto volgiamo, sulla forma di partito, sui metodi di inclusione, sui modelli di crescita e sviluppo, sul futuro e sull’economia. Anzi, dobbiamo farlo. Perché è compito nostro interrogarci su come vogliamo andare avanti, su quali visioni abbiamo del Mondo, su quali utopie rincorrere. Non possiamo prescindere da questi passaggi. Non possiamo far finta che vada tutto bene. Non possiamo rimandare.

Vi rubo solamente qualche minuto, una piccola riflessione, se vorrete concedermela. Nessuna regola, nessuno statuto. Nemmeno nomi, visto che a questi molti sono allergici. Vi porto semplicemente il punto di vista di un segretario di circolo, un circolo che conta più di 80 iscritti. Sono tanti, eh… credetemi. Sono tanti, ma soprattutto sono anziani. Nulla di male, anzi. Sono una risorsa. Sapete quante storie, quanti racconti, quanta passione. Quante ore passate ad ascoltare le loro memorie quando passo a trovarli per fargli sottoscrivere la tessera. Certo, ci vuole un sacco di tempo libero. Ma è un piacere, e non sono “il male” del partito. Non sono “zavorre”, come sento dire da qualcuno. (Le zavorre sono altre, semmai. Quelli che si nascondo dietro a loro. Quelli che si prendono gioco di loro. Ma è un altro discorso, che non mi va di affrontare.)

Ma di tante storie e opinioni che mi è capitato di sentire, mai una volta mi è stato detto da un ex-Pci, o partigiano, o staffetta, o da quelli che da giovani consegnavano l’Unità casa per casa: “A cosa serve che faccia la tessera?”. Perché vedete, è una forma di religione. Se qualcuno crede per davvero in qualche cosa non si chiederà mai l’utilità di quel gesto, di quel simbolo. Perché è una cosa che vale a prescindere dall’atto materiale. Non si fa la tessera perché si ha qualcosa da guadagnarsi. E’ una mentalità consumista, questa sì figlia di quello che in Italia definiamo berlusconismo. Ai miei iscritti non importa l’utilità della tessera. La fanno per senso di appartenenza, e perché nel momento in cui decidessero di non farla allora sancirebbero il loro distacco dal Partito. Ma è comunque una cosa “intima”, una protesta civile, silenziosa, quasi religiosa, appunto.

Fare la tessera oggi con spirito utilitaristico, e dare un significato materiale ad un artificio simbolico, denota invece una forma di esclusività. Ma in un Partito che si definisce Democratico io non cerco esclusività. Per quella ci sono i Resort, i Golf club (quelli sì popolati da fighetti! ndr.). Se volete una tessera che abbia un’utilità materiale, tangibile, vi consiglio quella della pizza al taglio (dopo dieci, una in omaggio!), quella del cinema o, perché no, quella del Blockbuster. Peccato non ci sia più, il Blockbuster. Quello sì che era conveniente. Facevi la tessera per noleggiare film e videogiochi. E se eri un cliente affezionato c’avevi pure gli sconti.

Peccato che il modello Blockbuster sia fallito, non perché non facessero un servizio nobile e democratico. Del resto offrivano prodotti a prezzi accessibili, popular, per tutti, senza discriminazioni. E facevano lavorare un sacco di gente.

Blockbuster oggi invece è materia di studio, e tra poco finirà nei libri di storia. Uno dei più grandi colossi commerciali mondiali, nato cresciuto e fallito nell’arco di una generazione. Fallito perché non ha saputo reinventarsi con il cambio delle abitudini, perché non offriva più quello di cui i clienti avevano bisogno, perché cambiò il modello produttivo e di fornitura di servizi sotto ai loro piedi e non se ne resero conto. Cambiò il paradigma economico, cambiò il mondo. E loro rimasero lì, immobili. Convinti ancora che i clienti di tutto il Mondo avrebbero continuato a noleggiare videocassette.

Ecco, non vorrei avere un PD modello Blockbuster. Non vorrei un Partito immobile. Non vorrei continuare ad “offrire” alla gente cose che la gente non ha alcuna intenzione di “avere” (potete anche cambiare i verbi con dire – sentire, dal commerciale si passa al politico).

Ma soprattutto non vorrei dover fare la tessera solo perché ci vedo una convenienza nel farlo.

La tessera dovrebbe avere un valore simbolico, di appartenenza. Invece mi sento continuamente dire “cosa me ne faccio?”, “A cosa serve?”. Convinti ancora che la tessera di per sé dovrebbe fornire un “servizio” che non c’è più.

Una volta si faceva la tessera perché il Partito offriva un welfare che lo Stato non poteva garantire, offriva sostegno, solidarietà, senso comunità. Ora c’è dell’altro. I tempi sono cambiati. I gruppi primari sono saltati. (E’ un bene? Un male? Non sta a noi stabilirlo, e soprattutto non ha senso averne nostalgia). E anche chi negli anni ’40 faceva la tessera di Partito perché altrimenti era escluso dalla vita civile del proprio Comune, o borgo, o Paese, ora dà a quella tessera un senso di appartenenza simbolica, senza chiedere nulla in cambio. E chi invece quarant’anni fa cercava l’utilità in quella tessera, ci scommetto, alla prima occasione buona non l’ha più rinnovata. Cercando dell’altro. Ma non abbiamo bisogno di quelli, a noi servono i primi.

Dunque, non prendiamo a modello Blockbuster per portare avanti il PD. Non escludiamoci. Non chiudiamo gli occhi per non guardare dove stiamo sbagliando. Non diamo la colpa al Mondo, o ai cittadini perché cambiano e non la pensano come noi. Non abbiamo paura delle contaminazioni.

E soprattutto, non facciamo scegliere il “capo” ad un numero ristretto di individui. Sarebbe una debolezza. Un sintomo di insicurezza. Meno siamo a sceglierlo e meno questo sarà legittimato. Restiamo aperti, guardiamo avanti. Non facciamo i conservatori, convinti che sia il Mondo ad essere sbagliato mentre noi predichiamo a vuoto sentenze giuste.

Magari si perderà comunque, magari faremo altri errori, ma almeno possiamo dire di averci provato. Almeno possiamo dire di non aver compromesso il nostro spirito progressista, di non aver avuto paura di cambiare.


Irreversibilità

Calderoli, chiesto scusa, rimarrà al suo posto. Gli F35 sono necessari e non si toccano, almeno secondo il Senato. Alfano non si mette in discussione.

Sembra che la politica italiana viva una sorta di irreversibilità. Nulla cambia, nessuno fa errori e, soprattutto, chi li fa si redime con una semplice ammissione di colpevolezza, salvo poi restare al proprio posto. E il Partito Democratico non è avulso da questa logica. Logica che, manco a dirlo, ha l’unico obiettivo di allontanare gli appassionati dalla vita politica, dalla discussione, dall’azione. Perché si sa, se nulla cambia e nessuno ha il potere di farlo, tanto vale rintanarsi nel privato e abbandonare la partecipazione civica. Con vivi e sentiti ringraziamenti della élite dirigente.

Sarà destino. O vogliamo cambiarlo?


Quelli che… il PD…

Quelli che Bersani è una brava persona
Quelli che D’Alema non è poi così male, è un uomo intelligente
Quelli che non hanno capito che ci decide non è Bersani, ma chi gli sta vicino
Quelli che non l’hanno ancora capito, perché sono bersaniani
Quelli che erano bersaniani fino a ieri sera
Quelli che la “rete”? Non ci risulta
Quelli che hanno non-vinto le elezioni
Quelli che hanno vinto prima il congresso, poi le primarie, e hanno perso tutto il resto (stanno ancora festeggiando, forse)
Quelli che gli elettori di Berlusconi mi fanno schifo
Quelli che anche i nostri poi non è che li apprezziamo parecchio
Quelli che nonostante tutto si credono ancora nel giusto
Quelli che l’apparato, la sezione, la federazione, ah quelli erano bei tempi
Quelli che quei tempi non ci sono più
Quelli che non dovrebbero più esserci…
Quelli che hanno cominciato a fare politica con Craxi, poi sono passati a Berlusconi, ad oggi non hanno ancora finito e non sanno ancora che cazzo stanno facendo, oh yes!
Insomma, quelli lì…


Un buon momento

Sottotitolo: Uno di quelli, però, in cui non c’è da sorridere…

Bene, ci ho dormito un po’ su. Pensavo di svegliarmi con palazzi distrutti, macchine in fiamme, randagi per strada e poca gente. Invece il Mondo là fuori è sempre lo stesso.
Avevo pensato di prendere un volo, il primo. Ma il sito di ryanair non l’ho ancora aperto e credo non lo farò. C’è un’Italia da tenere in piedi, un circolo PD da portare avanti, un Comune da amministrare. Ci sono oltre 8 milioni di cittadini delusi ed arrabbiati da convincere, ed almeno altrettanti con cui confrontarsi.

Credo sia il momento migliore per cominciare. Per cominciare sul serio a darsi da fare.

Buona giornata a tutti.


Basta che lo diciate.

Siccome siamo in campagna elettorale, e soprattutto i giornalisti del MV sono un po’ demagoghi e populisti, ma questi abbiamo e questi tocca tenersi. Siccome la GdF sta facendo delle indagini, ed ha tutto il diritto di farlo. Siccome sempre meno persone, purtroppo, hanno fiducia nella classe dirigente eletta, e lo ripeto, tra poche settimane si torna a scegliere, perché il gruppo regionale Fvg del PD non pubblica una nota specificando le proprie spese di rappresentanza? Così, in maniera trasparente. E se qualcuno ha bevuto un caffè non gliene faccio mica una colpa. Ma preferirei saperlo da loro, piuttosto che da un Magistrato qualsiasi. Preferirei saperlo prima delle prossime elezioni. Preferirei saperlo a prescindere, visto che vado in giro dicendo che non siamo uguali agli altri. Che siamo migliori.

E dico davvero, se si tratta solo di caffè e macellaio io non m’offendo, perché, relativismo a parte, c’è una bella differenza tra un caffè di un euro e le spese folli di Fiorito e amici.

Basta che lo diciate.


Di Grillo, dei sorteggi e dei nostri rappresentanti

ImageIn attesa di raccontarvi cos’è successo ad #Udinesmart, scusandomi con voi per il ritardo, o la lentezza (che mi contraddistingue), guardando con molta curiosità a Grillo, ed a quello che gli gira attorno, e ragionandoci un po’ sopra, ho deciso di condividere con voi queste poche righe.

Di Grillo, e della democrazia diretta, ne avevo già parlato tempo fa. Di come non fosse vera democrazia, ma solamente propaganda. Di come la democrazia fosse ben altro, di molto più complesso ed impegnativo. Bene, fin qui tutti d’accordo. Ma mentre ora ci infervoriamo e ci sprechiamo ad insultare e maltrattare l’insultatore e maltrattatore più famoso d’Italia, mi viene in mente questo. Un po’ contro tendenza, spero che me lo permettiate.

Avevo scritto che Grillo con la democrazia deliberativa non centrava nulla, che stava all’opposto. Lo penso ancora, non spaventatevi. Ma una cosa mi ha sorpreso. E m’ha divertito, contemporaneamente. Soprattutto mi ha fatto tornare in mente un articolo che ho letto ad inizio anno, sul Corriere. L’articolo ve lo linko più sotto, per non svelarvi la sorpresa.

In poche parole, Grillo ha fatto una cosa che sta alla base della democrazia partecipativa. A sua insaputa, oltretutto. Con quell’esilarante strumento che poi si sono dimostrate essere le Parlamentarie, abbiamo assistito ad uno dei princìpi cardine dell’inclusione democratica. Ovvero la selezione casuale dei partecipanti.

Infatti ci sono diverse teorie, tutte valide (con ognuna i propri pro e contro), su quale sia il metodo migliore per selezionare i partecipanti ad una consultazione democratica. Si può tenere “la porta aperta” e far in modo che chiunque voglia possano partecipare. Si può creare un “microcosmo” e dunque selezionare i partecipanti in base agli interessi personale e collettivi che portano con sé (tipo stakeholters). Infine c’è la possibilità di creare una campionatura casuale, in modo da avere ampie probabilità di veder rappresentate anche le classe più svantaggiate e soprattutto far sì che vi sia parità numerica tra donne e uomini. Di tutto ciò ne parlo in maniera un po’ più approfondita in tesi (pagg. 21-23), se volete approfondire.

Non prendetemi per scemo. Lo so che questi metodi riguardano la selezionare dei membri di un’assemblea locale e non, come nelle Parlamentarie, di scegliere i rappresentanti nazionali di un partito. Ma la cosa si avvicina molto, in maniera anche divertente.

Grillo fa una cosa bellissima. Nel senso di affascinante, non bella in maniera classica.  Dice in poche parole, che tutti, ogni comune cittadino, può finire in Parlamento, per controllare cosa cavolo combinano quei porci di rappresentanti che ci ritroviamo. Non importa chi tu sia, nemmeno cosa tu sappia fare. La tua forza è data dal fatto che sei un normalissimo cittadino, incensurato (ancora, per il momento). Perché non vedo, personalmente, altro che la casualità come criterio di scelta di due o più candidati che si fanno un video di 4 minuti e lo mettono su youtube. Che sia Mario o Antonio, una segretaria o una casalinga, c’è poca differenza. Le capacità difficilmente emergono in 20 MB di video. Soprattutto poi se sei il più votato d’Italia ed hai al massimo 300 preferenze.

Ora, a parte gli scherzi, non sta qui il punto. Sui metodi di selezione dei candidati del partito di un comico, pure permaloso, non voglio perdermici troppo. L’articolo che m’è venuto in mente è questo. Scritto il 2 gennaio 2012. E’ di Michele Ainis e parla di una Camera dei Cittadini da affiancare ad un Parlamento di Eletti. Con quale scopo? Con quello semplicissimo di fungere da stimolo e controllo su chi ha il dovere di scrivere leggi eque e dirette ai cittadini. Non sarà una cosa fattibile, ed è quasi una provocazione. Ma pensiamoci, comunque. E non lasciamo ai comici i favori della sorte, né tantomeno i ruoli di controllo della Democrazia.

Quanto a noi, se firmate qui, in maniera democratica, trasparente e aperta a tutti (questa volta si!), possiamo permetterci di scegliere, fisicamente, i nostri rappresentanti. Nostri del Partito Democratico. Quando?  Il 13 gennaio 2013, Maya e Berlusconi permettendo.

A presto!


Perché sosterrò Renzi, e perché ve lo racconto.

Sottotitolo/1: Anche se non sposterò di un grammo l’ago della bilancia, ma voglio provarci, ne vale comunque la pena.

Sottotitolo/2: Ovvero perché voterò Renzi, e poi Bersani, nel caso decidessimo di rimanere un partito di ex-qualchecosa.

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Ho cominciato a scrivere queste quattro righe mentre sullo schermo del computer vedevo scorrere i tweet dall’Assemblea Nazionale del PD. E’ da qui che voglio partire. Da un’assemblea, da un partito, da un gruppo di persone che vuole seriamente prendersi la responsabilità di governare l’Italia dopo la parentesi montiana (parentesi o punto zero? Discutiamone), che non è stata assenza di democrazia, o di politica. E’ stata una scelta, ed in quanto tale, politica. Tanto necessaria quanto tecnica. E chi continua oggi a tirarlo per la giacca è perché non ha coraggio di esporsi e sa di non essere credibile agli occhi degli elettori. Chiunque, sia a destra come a sinistra. Ma non è di Monti che vorrei parlarvi.

Parto dall’assemblea perché è li che vengono prese le decisioni. Perché è l’emblema di un partito che vuole essere serio. Di una politica che vuole essere credibile. Non è l’uomo solo al comando che può salvarci dalla situazione in cui ci troviamo, quelle sono cose di destra ed è li che vorrei lasciarle. Come allo stesso modo non è un uomo solo che ci ha portato a tutto questo. E’ una scusa facile, una semplificazione, un modo per scaricare le responsabilità. E non è questo che la politica, ne tanto meno il PD, deve fare per poter ripresentarsi come credibile.

Non ci sarà alcun uomo della provvidenza, non è quello che cerchiamo. Renzi non lo è. Non ha i super-poteri, non vuole imbrogliare nessuno. Renzi non è Berlusconi. Smettiamola con queste fesserie e cominciamo a riflettere seriamente sulla situazione e non sulle favole. Renzi non è “l’uomo nuovo”, l’imprenditore che rinuncia alla sua vita aurea, non scende in campo per salvarci dai mostri comunisti. Non possiamo colpevolizzarlo se sa comunicare bene, se ha carisma, se piace alle mamme e alle nonne.

Renzi non è di destra. Fassina, tra le altre cose, lo ha appena accusato di avere nel proprio programma alcuni punti del PD. E allora? Non è del PD che stiamo parlano? Non è un “nostro” amministratore?

Non è che a piacere a quelli di destra si diventi di destra, per trasposizione. Sono piuttosto quelli, che non sapendo più da che parte stare, in preda ad una confusione post-traumatica dopo vent’anni di sospensione delle funzioni cerebrali, si affidano e scodinzolano dietro al nuovo leader, a quello con un po’ di fascino, a quello che vedono come il nuovo padrone. Anche se non è padrone di un bel niente.

Si, il fascino. Dove sta scritto che dobbiamo essere brutti e noiosi per essere veramente di sinistra?

Renzi è cattolico sì, ma non per questo di destra. La visone che Rosy Bindi ha delle coppie gay è di destra, quella sì, e conservatrice. Perché non lo diciamo? L’omertà decisionale di certe frange dirigenti del nostro partito è di destra, di chi talvolta si nasconde dietro al nome (fin troppo abusato, ed a sua insaputa) del nostro, si anche mio (!), Segretario. I caminetti con le lobby (poco trasparenti) sono di destra, non l’elenco dei finanziatori on-line, né tantomeno le lobby di per se stesse. I metodi accusatori di taluno (sempre, anche in questo caso, Fassina) basati su supposizioni strampalate, il mantenimento conservativo dello “status quo”, queste si che sono cose di destra.

Sinceramente, io non ce l’ho con Bersani. Pare, anche se non lo conosco personalmente, una persona squisita. Sembra il vecchio amico che ognuno di noi meriterebbe d’avere. Corretto, leale, genuino. L’uomo che voterei e a cui darei la mia fiducia, se fossimo un Paese normale. Ma lo sapete meglio di me che non lo siamo.

Purtroppo, e lo dico davvero, dietro a Bersani non c’è solamente Bersani. C’è un mondo che, piaccia o no, vuole rimanere tale. Ma è un “tale” che a me non va più bene.

E dietro a Renzi cosa c’è? Non vedo Renzi in quanto tale ma in quanto mobilita persone che sono stufe di sperare ma però vogliono concedersi il lusso di un’ultima occasione. Perché deluderle? Vedo in Renzi, e dietro a lui, l’entusiasmo di chi è rimasto deluso ma ha ancora l’ingenuità, sana, di credere in qualche cosa, o a qualcuno. Vedo dietro a Renzi la rabbia di chi negli ultimi due anni ha votato Grillo controvoglia, e pure vergognandosi un po’, solamente per farsi sentire, perché abbiamo una classe dirigente sorda. E questo è innegabile. E cosa dire dei delusi della Lega, che per dieci anni le analisi post-elettorali li hanno definiti come “gli operai delusi che una volta votavano PCI”. Cosa facciamo se un po’ di entusiasmo ha superato la paura che questi avevano del diverso, se la proposta di un’Europa più democratica supera la nostalgia di un ritorno alla lira? Li tacciamo di ignoranza e populismo? Bella strategia politica insultare i propri futuri (e probabili) elettori.

Vedo dietro a Renzi, anche e soprattutto, molti Amministratori o ex o futuri, di sinistra, seri, competenti. Di sinistra, già detto, ma vorrei enfatizzarlo. Che non si limitano a rottamare ma propongono e lavorano, seriamente.

Vedete, non è Renzi in se. Ma è l’occasione che ci viene posta. I leader si cambiano, come i Papi. Solo D’Alema resta tale. Se Renzi non va bene oggi, perché antipatico o sbruffone, verrà sostituito da qualcun altro nel corso degli anni, in maniera democratica, e non per investitura, o cooptazione, o per grazia ricevuta. Sono invece le ambizioni, le ansie, i sogni e le paure delle persone che rimangono le stesse. E vanno rappresentate in qualche modo. E’ la volontà di cambiamento che non cambia mai (paradossale, lo so). Non capire il cambiamento significa escludersi dal farne parte. E questo non possiamo permettercelo.

Voterò Renzi perché sta al gioco della Democrazia. Perché se si candida alle primarie non è perché lo ha deciso lui da solo ma perché l’Assemblea Nazionale del Partito in cui milito ha votato e modificato lo Statuto, facendo in modo che gli iscritti possano candidarsi alle primarie (pensate un po’!), perché 20.000 iscritti firmeranno nelle prossime settimane per la sua candidatura. Non lui da solo.

Voterò Renzi perché non crea partiti nuovi sul predellino di un’auto blu, e nel caso lo facesse perderebbe all’istante il mio voto, e con me quello di molti altri (tranne quello, probabilmente, degli scodinzolatori di qui sopra).

Siamo all’interno delle regole, siamo all’interno del Partito Democratico. Per questo sosterrò Renzi alle primarie, e se perde darò il mio voto a Bersani, anche se vorrà dire che il PD non è ancora pronto a correre ma vuole restare un po’ ex-Ds e un poi ex-Dc, un po’ minoritario e un po’ proporzionale.

Far finta di non vedere il cambiamento in atto nel Paese è miopia politica. Non ascoltare le persone deluse è pura idiozia. Tacciare il nuovo di inadeguatezza è paura. L’ha detto già Baricco alla Leopolda, poco meno di un anno fa. Me lo riguardo come un mantra, ogni volta che ho bisogno di un po’ di coraggio. Guardatelo anche voi, fatevi questo piacere. Forse è arrivato il momento di smettere di aver paura di perdere e di cominciare a giocarci fino in fondo questa partita.


Referendum

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Siccome parliamo di partecipazione e di democrazia diretta, e ci piace tanto, ecco quello che facciamo. Sono sei quesiti al PD, per chiedere di essere ascoltati e non solamente di ascoltare (D’Alema, per fare un esempio). Però bisogna partecipare. E twittare. #ReferendumPD

Dobbiamo essere in 30.000, ovvero il 5% del totale, per rendere valido il referendum. Solo iscritti. Poi a votare saranno gli elettori, cioè potenzialmente tutti (ah, speranze!).

Tutto quello che vi interessa lo troverete qui:

www.referendumpd.com