Il solito errore (voluto?) di comunicazione

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Davvero non trovo molta differenza tra le primarie “chiuse”, di  soli aderenti, previste da Franceschini che in un intervista a Repubblica del 28 luglio dice questo

«Figuriamoci, è impossibile pensare alla platea degli attuali tesserati. In gran parte del Paese non ci sono neanche più. Penso piuttosto a un sistema totalmente aperto per cui un cittadino si presenta ai gazebo, ai circoli e anche un minuto prima di votare, aderisce al partito. Un modo per aprire il Pd a nuove energie, non per rinchiudersi»

piuttosto che le #primarieaperte volute a gran voce da Civati, Cuperlo e renziani di ogni ora (prima, primissima e ultima).

Un’unica grande differenza. La volontà di quello che si comunica. Partendo dal presupposto che nel Mondo nevrotico e complesso d’oggi le persone (oltre ai folli come me, e pochi altri) non perdono troppo tempo ad interessarsi delle beghe interne di un Partito fin troppo democratico (almeno nelle sue regole, che sono belle e già scritte ma si tende a volerle cambiare) e confusionario, dobbiamo capire che è l’immagine che diamo all’esterno di noi stessi è quella che conta. E che i concetti che esprimiamo devono essere semplici e lineari, se vogliamo essere capiti, oltre che ricordati (non sarebbe male, soprattutto quando si va a votare).

Dunque, l’unica differenza, dicevo, sta nel meccanismo psicologico che si vuole innestare nelle persone che ci ascoltano di sfuggita. Solo aderenti e iscritti, anche se all’ultimo minuto? Bene. Nessuno ascolterà quel “anche se dell’ultimo minuto” e il giorno che ci sarà il congresso (chissà quando?) il pensiero comune sarà “beh, io non sono iscritto. Questi fanno i giochini tra di loro. Facciamo che oggi me ne sto a casa e vedo in tivù cosa combinano quei comunisti nostalgici”. Nessuno capirà che ci si può iscrivere anche il giorno stesso, perché lo si è comunicato male. Perché si parte dal presupposto che tutti, quotidianamente, stiano a leggere e ascoltare tutte le interviste di tutti gli esponenti del Partito Democratico. Una follia.

Dall’altra parte ci sono le #primarieaperte. Che nessuno ha mai definito “anonime”. Cioè, tu ti presenti al seggio e ti registri. Aderisci. Paghi l’obolo. Come sopra. Semplicemente cambia il modo di comunicare il tutto. Si da l’idea che tutti possano partecipare, cioè tutti quelli che sono interessati a farlo. E quell’indeciso dell’ultimo minuto, sommerso dal lavoro, dalla famiglia, dagli obblighi, dai mutui, che non ha il tempo materiale (o forse le capacità cognitive) di sobbarcarsi anche l’interessamento alle diatribe piddine, che magari voleva fare la tessera ma non ha avuto il tempo, quel giorno si ricorderà dell’unico messaggio semplice comunicato dal PD: “LE PRIMARIE SONO APERTE”. Punto.

La partecipazione sarà sicuramente più ampia, perché si comunica un senso di possibilità, di apertura, di leggerezza, di semplicità. Anche se i contenuti sono gli stessi, e le modalità di adesione anche. Quella che cambia è la tipologia di immagine che si vuole offrire di se. Vogliamo continuare a fare i “complicati” (potrei dire “complessati”, ma qualcuno magari s’offende)? Non lamentiamoci se poi siamo al 20%. O forse è questo l’unico obiettivo. Si vuole giustificare la partitocrazia, a discapito di una democrazia moderna. Continuando a giustificare il Porcellum, e magari le liste bloccate, che tanto piacciono ai funzionari romani e ai vecchi turchi.

Allora è giusto continuare la nostra battaglia comunicativa, che è sempre, in fondo, anche una battaglia di ideali e di come comunicarli, a pensarci bene.